recensione

“Il club delle persone colte che leggono i libri” consiglia

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Da Il Fatto Quotidiano dell’11 agosto 2021

Immaginate gli editori italiani alle prese col fumetto che si aggirano sui social come cani da fiuto alla ricerca del nuovo ‘fenomeno del web’ da lanciare in libreria sperando diventi ‘fenomeno editoriale’. Spoiler: l’operazione riesce raramente e il più delle volte si affastellano in libreria pile di volumi che non valgono un decimo dei like presi online dai loro autori. Eppure, a volte, in questa pesca a strascico può rimanere impigliato un pesce magari non grosso in termini di vendite ma con un dna unico che gli permette il salto di specie: passare dal digitale al cartaceo, rimanendo se stesso.
Prendiamo “Il Gatto, il Kaiju e il Cavaliere”, l’ultimo libro edito da Feltrinelli comics di un autore che si chiama Davide Caporali, si firma Dado e su instagram lo trovate come @dado_stuff. Ecco, Dado – classe 1989 – non è un esordiente: ha collaborato con editori come Bonelli e Shockdom e autori come Sio (Scottecs) e Bevilacqua (A panda piace, Attica); ha centinaia di migliaia di follower che ogni giorno seguono le sue strip autobiografiche di trentenne alle prese con la paternità, comprimario insieme alla sua compagna e al figlio quattrenne. Niente di originale, ok, e infatti a rendere Dado irresistibile è la sua voce, il suo punto di vista, la sua stessa identità. E quando un autore ha questo dna il passaggio sulla carta riesce se si reinventa senza cancellarsi, se attua una mutazione. E così Dado in “Il Gatto, Il Kaiju e il Cavaliere” non abbandona del tutto l’ambito familiare a cui ha abituato il suo pubblico e racconta una favola. Una favola che ha per protagonista una bimba che si chiama Camilla (che potrebbe essere l’alter ego del suo figlio a fumetti a sua volta alter ego del suo vero figlio) e un gatto che si chiama Godzilla (a sua volta alter ego del gatto delle sue strip a sua volta alter ego e vabbè ci siamo capiti). In questo gioco di specchi che mescola identità reale e fittizia, Dado ci infila una storia semplice – più per bambini e ragazzi che per adulti – con una malinconia di fondo che la corrode sempre più fino al finale. L’umorismo (una delle due droghe che dopa ogni fumettista ‘virale’ sui social, l’altra è l’’intimismo depresso’) sempre così presente nei lavori online di Dado in questa favola quasi scompare: ci sono disegni dai colori brillantissimi, tavole ardite e mostri il cui concept pesca nell’immaginario fiabesco e terribile di Miyazaki. Quello che viene fuori è un autore con una voce riconoscibile graficamente e narrativamente, sicuramente una delle scommesse vinte della collana Feltrinelli Comics, ma dal quale adesso ci aspettiamo un nuovo salto di specie, magari verso il mondo adulto.
Il dna è stato sequenziato, vedremo come evolverà.

Di |2021-08-20T16:45:15+02:0020 Agosto 2021|Categorie: recensione|2 Commenti

“Il club delle persone colte” consiglia

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Torna il “Club delle persone colte che leggono libri”. Siccome è estate ed è un po’ che non consiglio un libro da leggere, per chi come me ama la saggistica di argomento storico vi consiglio “Per un pugno di barbari” di Marco Cappelli. Marco è il creatore di un podcast che mi fa compagnia da molto tempo, @italiastoria. Immaginatevi questo tizio che dal Belgio ci racconta ogni giorno la storia d’Italia dall’alba dei tempi, una roba fatta davvero bene e a volte in crossover col podcast dedicato a Barbero (e ho detto tutto). Vi consiglio di ascoltare il podcast (“salute e salve” diventerà il vostro modo di salutare) e di prendere il suo libro che merita davvero. Fatemi sapere se lo avete letto, se lo conoscete e se amate la saggistica storica sparate titoli nei commenti.

Di |2021-08-06T20:12:24+02:006 Agosto 2021|Categorie: recensione|3 Commenti

Genova 2001 secondo il fumetto (e secondo me)

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Da Il Fatto Quotidiano del 21 Luglio 2021

“Duttile” significa che un materiale – sottoposto a pressione – può essere alterato, plasmato o deformato. La memoria, ad esempio, è duttile: col tempo alcuni ricordi si modificano e altri si cancellano, ma ce ne sono alcuni che rimangono precisi e – anzi – diventano più lucidi col passare degli anni. Nemmeno un frammento di ricordo è andato perduto dei fatti del G8 di Genova, nonostante siano trascorsi venti anni. Venti anni da quando, durante il vertice dei capi di governo dei maggiori Paesi industrializzati, nelle piazze e nelle strade genovesi esplosero tumulti e proteste e un manifestante di ventitré anni – Carlo Giuliani – venne ucciso dai carabinieri. Venti anni da quei giorni in cui le forze dell’ordine pestarono, abusarono, torturarono e massacrarono. La memoria di quei giorni non ha perso un pixel grazie a film, documentari, libri, interviste, saggi e mostre che non smettono di raccontare – in quella forma di racconto che diventa denuncia – quanto accaduto.Pure il fumetto è duttile e lo dimostrano le riedizioni di due volumi arrivate in libreria in occasione del ventennale di Genova 2001. La casa editrice BeccoGiallo, in linea con la sua tradizione d’inchiesta e denuncia civile, pubblica una nuova edizione (la prima è del 2008) di Dossier Genova G8, con Gloria Bardi ai testi e Gabriele Gamberini ai disegni. Non è un fumetto ma un vero e proprio documentario a fumetti: le tavole acquerellate con colori desaturati sono precise come fotografie; le didascalie e i dialoghi sono asettici come fascicoli d’indagine. Alcune strisce sono incorniciate dai dentelli di una pellicola, come se fossimo in tribunale e ci stesse scorrendo davanti agli occhi il video di un delitto. D’altronde il titolo del volume ne mette bene in chiaro le intenzioni: un “Dossier” sul G8 di Genova, un fumetto che serve a conoscere, a “capire” la portata degli eventi del 2001. Ma il fumetto è un mezzo duttile, lo abbiamo detto, e può illustrare la stessa memoria e gli stessi tragici fatti con una veste del tutto diversa, come dimostra l’altro volume arrivato (anzi, tornato) in libreria in questi giorni. Non un libro per “capire”, ma per “sentire”: si intitola Nessun Rimorso, edito da Coconino-Fandango, e raccoglie le voci e le testimonianze dirette di fumettisti che in quei giorni a Genova c’erano oppure li hanno vissuti in via mediata. Sono pagine militanti, che grondano sangue, rabbia e lacrimogeni. Anche questo volume è una riedizione di un libro uscito per la prima volta nel 2006 con il titolo GevsG8: Genova a fumetti contro il G8 per iniziativa di “Supporto legale”, progetto collettivo nato nel 2004 per sostenere il Genoa Legal Forum e al quale è devoluto il ricavato delle vendite. Nella prima edizione il volume contava solo diciotto autori, nella nuova edizione ne troviamo trentasei: alcuni nomi di rilievo scompaiono, ad esempio Gipi, ma altri se ne aggiungono come Reviati, Martoz e Prenzy. Ogni autore porta la sua voce: la parte del leone la fa Zerocalcare che regala al volume almeno una cinquantina di tavole oltre alla copertina e alla quarta di copertina. C’è chi racconta che non c’era, come Rita Petruccioli; c’è chi riesce a far ridere, come Claudio Calia, che racconta l’unica cosa divertente capitatagli nei giorni del G8 (e riesce a essere divertente e al tempo stesso, in pochissime pagine, a chiudere con un finale atroce) e chi la butta sulla filosofia bislacca come quel genio di Maicol&Mirko (la domanda del bambino ai genitori “reduci” di Genova – “Mamma, i buoni soffrono?” – racchiude il senso del libro, e forse della vicenda). Ecco, l’ordine in cui andrebbero letti questi due fumetti è questo: prima Dossier G8 in cui gli autori si eclissano mettendo in pagina il fatto nudo e freddo come un corpo dissezionato in obitorio, poi Nessun rimorso che è il gesto di un corpo vivo che si alza la maglia e mostra le cicatrici per ricordarci, ancora oggi come negli ultimi venti anni, che Genova non si dimentica.

Nessun Rimorso
AA.VV.
Coconino-Fandango
link amazon

Dossier Genova G8
Bardi-Gamberini
BeccoGiallo
link amazon

Di |2021-07-26T09:17:01+02:0026 Luglio 2021|Categorie: nat show, news, recensione, vita varia|Tag: , |41 Commenti

Il C.d.p.c.c.l.i.l. presenta: “Lockdown in mezzo ai ghiacci”

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Da Il Fatto Quotidiano del 27 aprile 2021

Fine ‘800, una nave bloccata in mezzo ai ghiacci dell’Antartide con a bordo il suo equipaggio. La nave si chiama Belgica e la sua storia è stata portata in libreria da Bao Publishing con due volumi a fumetti dei quali l’ultimo, ‘La Belgica – La melodia dei ghiacci’, appena uscito (qui il link amazon). Lo spunto narrativo della nave tra i ghiacci è lo stesso di tante altre storie: tra le più recenti, le navi Erebus e Terror protagoniste della prima stagione della serie ‘The Terror’ (prodotta nientemeno che da Ridley Scott, la trovate su Amazon Prime – qui il link – a patto che stiate lontani dall’orribile seconda stagione). Oppure la spedizione Endurance del capitano Shackleton, al quale anche Franco Battiato ha dedicato una canzone dell’album Gommalacca. Viene quasi da chiedersi perché a quel tempo le navi non facessero altro che andare a schiantarsi nei ghiacci al polo. C’è di certo che alla fine ci hanno lasciato delle storie magnifiche. Come la storia dimenticata della Belgica: una storia vera, dunque, ma per trasformarla in una grande storia ci voleva un autore che sapesse renderla tale.
Toni Bruno, siciliano classe 1982, non è uno che si preoccupa di mettersi in mostra, magari sui social (a proposito, ecco il suo profilo instagram). Silenzioso, macina pagine su pagine sapendo di avere dalla sua un talento rarissimo. Nel 2016 ci ha sparato nello spazio con lo splendido ‘Da quassù la terra è bellissima’ (Bao Publishing) e ora ci porta – letteralmente – in capo al mondo con i due volumi de ‘La Belgica’. Che poi di viaggio, in senso di spostamento geografico, in questa storia ce ne sia poco non importa: ce n’è tanto nella vita e nel tempo dei protagonisti. Al di là della trama, colpisce di questi volumi la cura. Un pregio che non c’è in tanti libri a fumetti pubblicati oggi, ma che invece il disegnatore siciliano rivendica prendendosi il suo tempo (il primo volume de La Belgica è del 2019)(Mortacci sua). Il risultato è un viaggio sensoriale in cui ogni pagina sembra essere stata disegnata a bordo della stessa Belgica bloccata tra i ghiacci: per gli inchiostri l’autore ha usato della china risalente ai primi del ‘900 (davvero!); i colori sono velature grigie ad acquerello che fanno trasparire un senso antico; le gocce di colore, volutamente lasciate qui e là come macchie, sembrano salnitro che corrompe la carta come se le pagine fossero arrivate a noi in una bottiglia trovata a riva. Il disegno è pulito e elegante: ‘bello’, alla vecchia maniera, come avessimo tra le mani un Corto Maltese di Hugo Pratt o i disegni di un capolavoro Disney di tanti anni fa. Scendere dalla Belgica, alla fine dei due volumi, è dura. Si rimane malinconici, con il sapore di mare in bocca e le dita piene di salsedine, pronti per un altro viaggio.


Di |2021-04-28T16:05:20+02:0028 Aprile 2021|Categorie: recensione, vita varia|4 Commenti

Frankenstein junior: il pezzo che mancava!

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Da Il Fatto Quotidiano del 24 marzo 2021

Ci sono vuoti dei quali ci accorgiamo solo quando finalmente arriva un’opera a colmarli: ed è nel momento in cui arriva – solo in quel momento – che ci rendiamo conto di quanto ci mancasse ‘qualcosa del genere‘. Ecco cosa si prova leggendo ‘Si può fare!’, graphic novel pubblicato da BeccoGiallo e firmato dall’esordiente Isabella Di Leo. (Qui il link amazon)

Ma partiamo dall’inizio.

L’inizio è Frankenstein Junior: parodia del filone horror degli anni 30 incentrato sul mostro nato dalla penna di Mary Shelley, questo film di Mel Brooks e Gene Wilder del 1974 racconta le avventure di un discendente del barone Von Frankenstein che decide di riprendere i folli esperimenti del suo avo. Il resto è storia del cinema e una sfilza di tormentoni (“Gobba? Quale Gobba??”) il cui successo ancora oggi – a quasi 50 anni dal debutto – si rinnova di generazione in generazione.

Tutto perfetto, no? Non c’è altro da aggiungere.

Finché non arriva il graphic novel della Di Leo che, raccontandoci la genesi e il dietro le quinte di quel capolavoro, ci fa rendere conto che invece un vuoto da colmare c’era.

I protagonisti di Si può fare! sono proprio Gene Wilder e Mel Brooks: due ebrei che faticano a sfondare a Hollywood e che decidono – contro tutto e tutti – di puntare su un film comico dedicato al mostro di Frankenstein (“Ancora Frankenstein?!”) e di girarlo in bianco e nero (“Nessuno pagherebbe per vedere un film che sembra vecchio!!”). Il racconto di questo sodalizio artistico si intreccia a digressioni che scavano nelle vite private dei due cineasti restituendoci un’amicizia cementata da sconfitte, sacrifici, stroncature e insuccessi fino alla sera del debutto, e siamo ormai sul finale: il lettore arriva nelle ultime pagine a condividere con i protagonisti l’emozione e la paura, a chiedersi insieme a loro se il film andrà bene o sarà un flop. Prima che la proiezione in sala inizi, il libro finisce: quello che succederà poi – lo abbiamo già detto – è storia del cinema.

Come viene in mente a un’autrice, classe 1988, nata e cresciuta a Milano, di cimentarsi con un materiale così difficile da ricostruire? E – soprattutto – come fa a riuscirci così bene nonostante sia esordiente e completamente autodidatta? Com’è possibile che Gene Wilder e Mel Brooks prendano davvero vita tra le pagine del fumetto, non mostrando quasi nessuna scollatura rispetto agli originali? Parte del merito è sicuramente del lavoro di ricerca che la Di Leo ha fatto (e il cui risultato ha pubblicato – post dopo post – sulla sua pagina Instagram. Qui il link): filmati, riviste, interviste, film, libri, studi. Niente, in Si può fare!, è lasciato al caso. Anche gli abiti indossati dai personaggi nel fumetto sono riprodotti da fotografie originali e le battute sono quasi tutte frasi realmente dette dai protagonisti tra interviste e biografie. Ma perché il “Gene” e il “Mel” sulla pagina sembrino “davvero vivi” non basta la documentazione. Non basta nemmeno la perfetta resa grafica dei volti e delle espressioni dei due autori, che pure la Di Leo riesce a rendere con una naturalezza impressionante. Perché l’esperimento riesca ci vuole anche un indiscutibile talento narrativo e l’autrice – alla sua prima prova con un biopic di questo calibro – sembra averlo. Con tanto di colonna sonora dedicata, toni, ambientazioni e umorismo da serie tv brillante (siamo dalle parti de La fantastica signora Maisel), Isabella Di Leo è riuscita a creare una storia che prende vita proprio come il mostro di Frankenstein, riempiendo uno di quei vuoti che ignoravamo ci fossero.
Come c’è riuscita?
La risposta la grida lo stesso titolo del libro:
“SI – PUÒ – FARE!”.

Di |2021-03-26T06:54:34+01:0026 Marzo 2021|Categorie: recensione|4 Commenti

Un caro prezzo, ma per cosa?

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Da Il Fatto Quotidiano – 14 marzo 2021

Non è facile parlare di un libro come A caro prezzo, scritto e disegnato dal francese Baru e pubblicato in Italia da Oblomov. Come non sono mai “facili” i libri di questa casa editrice fondata da Igor Tuveri, in arte Igort e a sua volta fumettista dei più raffinati e complessi (Quaderni ucraini, Quaderni russi, 5 è il numero perfetto). In un mercato in crescita come quello del graphic novel in Italia, bulimico spesso a discapito della qualità, Oblomov è un angolo tranquillo in cui le storie sono scelte con cura e in cui puoi trovare libri come A caro prezzo. Ma quindi: un “caro prezzo” per cosa?
La risposta non è “facile”. In questo libro, primo di una trilogia, ci sono storie che si svolgono su piani temporali diversi e si affastellano senza costrutto, proprio come fanno i ricordi. La prima è un episodio di sangue avvenuto nel 1893 in Francia, quando un gruppo di immigrati italiani fu lapidato da lavoratori francesi furibondi con gli stranieri “ladri di lavoro”. Le storie successive hanno per protagonisti le seconde generazioni; c’è la storia che dà il titolo all’edizione francese del libro, Bella ciao, che ricostruisce le origini di questo canto di rivolta e c’è la storia del nonno dell’autore, emigrato dall’Italia e che acconsentì alla naturalizzazione francese solo per non dover servire nell’esercito fascista di Mussolini; c’è la storia del comunista bambino, zio dell’autore, che da grande morì partigiano in Spagna nel 1938 e c’è – in chiusura, disegnata quasi come un appunto preso al volo su un quaderno – la “ricetta dei cappelletti”.Il segno grafico cambia continuamente: l’episodio del 1983 è in bianco e nero e ha ampie inquadrature, con scene in cui la dinamicità della rissa e degli inseguimenti sono così nitidi da farti sentire in bocca il sapore del sangue. Le storie successive sono invece ambientate in case più o meno borghesi e raccontate con colori tenui: la violenza è passata, i personaggi sono attorno a una tavola imbandita, litigano e discutono in francese ma cantano in italiano, la loro lingua d’origine. In alcuni momenti la violenza della guerra traspare ancora, intrecciata alla malinconia per le origini, e quindi i toni virano sul grigio ma sono sprazzi, sempre più radi, man mano che si stemperano nella serenità della vita nuova.
Quindi, alla fine, qual è questo “caro prezzo” e chi lo paga? Lo si capisce conoscendo meglio Baru: pseudonimo di Hervé Barulea, nato da padre italiano e madre bretone, vincitore nel 2010 del Grand Prix de la ville d’Angoulême (insieme ad autori come Moebius, Pratt, Eisner e Spiegelman). Figlio di emigrati, ha fatto di questa tematica la colonna della sua intera produzione (basti leggere Gli anni Sputnik, Quequette blues e Verso l’america). E forse è questo il “caro prezzo”: quello che uno straniero, in ogni epoca, deve pagare per costruire una nuova identità in una cultura diversa, cercando di non dimenticare le proprie origini. Il prezzo pagato per non essere più straniero, ma senza perdere la propria ricetta per i cappelletti.

Di |2021-03-17T22:53:32+01:0017 Marzo 2021|Categorie: news, recensione|2 Commenti

Basta ebrei e nazisti, parliamo di Anne

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“Il Diario di Anne Frank” – Nadji, Ozanam – Star Comics

Da Il Fatto Quotidiano – 27 gennaio 2021

E’ il diario più famoso al mondo: pubblicato la prima volta nel 1947 con il titolo “Il retrocasa: annotazioni al diario dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944” e conosciuto più semplicemente come ‘Il diario di Anne Frank’, arriva dalla Francia in forma di fumetto.
La storia è nota: Anne, giovane tedesca rifugiata in Olanda, resta nascosta per due anni insieme alla sua famiglia e altri clandestini in un appartamento segreto (il ‘retrocasa’, appunto) ad Amsterdam per sfuggire alle persecuzioni naziste. Morirà in un campo di sterminio ma il diario, scritto nel retrocasa e ritrovato dopo la liberazione, renderà immortale la sua storia: tradotto in quasi 70 lingue, diventa soggetto per film, cartoni animati e addirittura un musical (la povera Anne – impegnata a nascondersi dai nazisti evitando ogni rumore – che canta e balla negli spazi angusti di un nascondiglio?). Nel 2016 la ‘Escape bunker’, una sala giochi olandese, inaugurò una ‘escape room’ a tema Anna Frank: l’obiettivo del gioco era farsi rinchiudere nella riproduzione del nascondiglio dei Frank e, avendo un’ora di tempo per risolvere indovinelli e rebus, guadagnarsi la libertà.
Ecco, a parte alcune bizzarrie di questo tipo, ogni trasposizione del diario ha ridato vigore alle parole di Anna Frank, ma il fumetto rimane il mezzo che meglio permette di trasformare con precisione il testo scritto in immagini.

“Anne Frank – Diario” – Folman, Polonsky – Einaudi

Nel 2017 Ari Folman (Il regista israeliano di Valzer con Banshir) ha adattato il Diario in un graphic novel con le matite di David Polonsky e il libro ha ottenuto una nomination agli Eisner Award, gli oscar della nona arte. Un adattamento minuzioso, teso a riprodurre fedelmente il diario mostrando panorami, ambientazioni, abiti, utensili e gli utilissimi schemi per comprendere la struttura del nascondiglio. Il fumetto permette questo, certo. Ma il fumetto può fare anche di più.
Il diario di Anne Frank’ a firma di Ozanam e Nadji (il primo alla sceneggiatura, il secondo ai disegni), tradotto e pubblicato in italia dalle edizioni Star Comics, abbandona il didascalismo e preferisce destrutturare il testo. I due autori francesi non si preoccupano di ricostruire visivamente l’ambiente in cui Anne si muove: non c’è Amsterdam, non ci sono sfondi, tutto è ridotto all’essenziale con poche linee nervose. Anche la Storia, quella con i nazisti e i campi di sterminio, è fuori e lontana. L’edizione di Star Comics comprende un’appendice con molte informazioni e dettagli, ma l’obiettivo del fumetto è puntato su un altro fuoco: è dentro Anne.


Le parole si fanno da parte, spesso l’unico riferimento al diario è la data in cima a una tavola. I visi dei personaggi sono pochi tratti accennati per restituire le emozioni e non i tratti somatici, gli sfondi sono campiture di colore che raccontano la storia in modo semplice, quasi primordiale. Il bianco compare poco, all’inizio e in (pochi) altri momenti sereni: il resto sono alternanze di viola, magenta e seppia sempre più scure fino all’ultima pagina del diario che è completamente nera. Sul nero il lettore si ferma e ci si specchia. E, infine, un’ultima tavola dopo il nero. La vera tavola finale: tutta bianca, mostra il ritrovamento del diario. E la speranza che finchè questa storia sarà raccontata, il nero sarà solo una battuta d’arresto e mai la conclusione.

Di |2021-01-31T16:19:42+01:0031 Gennaio 2021|Categorie: news, recensione|3 Commenti

‘Bedelia’: si può aprire la testa di Leo Ortolani con un apriscatole?

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Su Il Fatto Quotidiano in edicola il 29 dicembre 2020 ho raccontato com’è stato leggere ‘Bedelia‘, l’ultimo libro di Leo Ortolani (Bao Publishing). O meglio, com’è stato aprirgli la testa con un apriscatole.
Ecco il mio racconto

Di qualcuno troppo geniale si dice, a volte: “ci sarebbe da aprirgli la testa per vedere cosa c’è dentro”. Certo, è un modo di dire e se aprissimo la testa di Leo Ortolani, magari con un apriscatole, sono certo che non ci troveremmo niente fuori dall’ordinario. In più, avremmo probabilmente ucciso uno degli autori più originali degli ultimi trent’anni. Per ‘spiare’ la testa di Ortolani in modo non cruento conviene leggere piuttosto le sue storie.
É arrivato il momento in cui specifichiamo che si tratta di un autore di fumetti ma, tranquilli, non siamo qui per affrontare l’ormai superata (da chiunque abbia i pollici opponibili) ‘sottovalutazione del media fumetto’. Siamo invece qui per Bedelia, l’ultimo libro di Leo Ortolani. Veloce ricapitolazione per chi non conoscesse l’autore: nato a Pisa nel 1967, è geologo e ha una pagina wiki occupata per due terzi solo dai premi che ha vinto (che non c’entrano niente con la geologia, ma col fumetto). Nel 1989 crea Rat-Man, fumetto umoristico diventato uno dei più longevi successi italiani. Nel 2017 decide di concludere la serie, ancora premiatissima nelle edicole, per passare ad altre storie.
E quelle storie arrivano, tra le ultime quelle covate con cura da Bao Publishing: dopo Cinzia (2018), ecco Bedelia.
Leggerlo è come assistere a un numero di escapismo del grande Houdini. Come si evince dal titolo, ‘Bedelia’ è la storia di una donna. Una donna bellissima e il cui successo nella vita (è modella di lingerie) si basa su questa unica dote. Inoltre, la passione di Bedelia (e leit motiv di quasi tutte le gag) è passare da un partner sessuale all’altro senza toccare mai terra. Il tutto raccontato, con frizzi e lazzi, da un uomo: Ortolani, appunto. Sentite questa sirena suonare? Questo allarme rosso ‘UAUAUAUAUA‘ che grida: “INDIGNAZIONE SESSISMO”?
Il libro si legge come si guarda Houdini incatenato e appeso per i piedi in una vasca piena d’acqua, chiedendosi: “come farà a uscirne vivo?”. Ebbene, Ortolani ci riesce: ci porta a conoscere la sua Bedelia. Ci fa ridere, ci fa innamorare, ci prende a schiaffi, e finito lo spettacolo ci mette il cappotto e – esterrefatti – ci accompagna alla porta. Ha fatto tutto davanti ai nostri occhi, ma il lettore non può non chiedersi: “come c’è riuscito?”.
Forse il segreto è il rispetto che l’autore dimostra per i suoi personaggi? La voglia di raccontare storie che sfidano ogni limite e pregiudizio? O la semplicità del bianco e nero? A Leo, per stupire, non servono effetti speciali grafici di alcun tipo. Il colore diventa un orpello superfluo. Ma tutto questo non svela ancora il trucco, anzi lo infittisce di mistero. Com’è riuscito Ortolani a far filare liscia e a consegnarci una storia così perfetta, delicata e divertente? Così torna quella voglia irrefrenabile di aprirgli la testa e frugare bene dentro, cercando se per caso non sia nascosta lì da qualche parte la chiave segreta del suo successo. Ma lasciamo perdere, non vorremmo ammazzarlo e così perderci le sue prossime storie.

Di |2020-12-30T15:29:20+01:0030 Dicembre 2020|Categorie: recensione|Tag: |7 Commenti
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