Dicono di me

Natangelo disegna come un diavolo. Un diavoletto. Irriverente piuttosto che maligno, dispettoso piuttosto che sulfureo, intelligente piuttosto che supponente.

Premio per la satira politica Forte Dei Marmi
Questa non è risata, è letteratura. A forza di lamentarci dell’assenza di un nuovo Ennio Flaiano dimentichiamo che, al tempo, nessuno poteva accorgersene di averlo un Flaiano.
Pietrangelo Buttafuoco
E poi c’era un altro che era diventato dipendente del giornale con un capolavoro di testardaggine. Era un giovane, pirotecnico vignettista che si era formato sul sito Internet sotto l’occhio protettivo di Paola Porciello. Si chiamava Mario Natangelo, arrivava in redazione, si piazzava con le matite sul mio tavolo (non c’era altro posto), si metteva a disegnare e mi faceva un casino, nemmeno fossimo sui banchi di scuola. Poi, misteriosamente, alle sei del pomeriggio, raccoglieva precipitosamente tutto e spariva, come una Cenerentola della satira al rintocco dell’orologio. Un giorno avevo deciso di affrontare il problema e lo avevo inseguito sulle scale: “A’ Mario, ma ‘ndo cazzo corri?” Dal fondo della tromba delle scale aveva gridato: “Te lo dico domani!”. A Napoli, andava a Napoli. Tutte le mattine, per un mese, aveva preso il treno, era arrivato in redazione, ed era tornato indietro per dormire a casa. Con questo stoico eroismo, dopo pochi giorni, si era guadagnato il primo stipendio.
Luca Telese

Molto prima che nascesse il Fatto Quotidiano, tenevo un blog a sei mani, insieme a Pino Corrias e a Peter Gomez. La ragazza che ci aiutava, Paola Porciello, scovò in rete un vignettista, un certo Mario Natangelo, e cominciò a illustrare i nostri post con le sue vignette. Funzionavano strepitosamente: colorate, fantasiose, soprattutto cattive. Poi nacque il Fatto, e nei giorni degli ultimi preparativi, tra un numero zero e l’altro, Paola buttò lì: “Perchè non ci prendiamo Natangelo come vignettista di redazione?”. Obiettai: chissà quanto costa uno del suo livello, non ce lo possiamo permettere, non verrà mai. E lei: “Ma scherzi? E’ un ragazzo, pagherebbe per lavorare da noi”. Un ragazzo? Dalla perfidia dei suoi lavori l’avrei detto un quarantenne, almeno. Mi venne in mente il mio secondo incontro con Montanelli, quando mi comunicò che aveva letto dei miei articoli e gli erano piaciuti, mi chiese quanti anni avessi (erano ventitrè) e mi disse che potevo collaborare al Giornale, “ma ovviamente gratis, anzi pagando il giusto”. Seppi anche che Natangelo era napoletano: la qual cosa mi meravigliò vieppiù, essendo impensabile associare la ferocia delle sue battute e dei suoi disegni a un napoletano, per giunta ragazzo. Poi finalmente lo vidi: biondo, occhi chiari, una faccia da schiaffi come poche, di quelle che fanno impazzire le ragazze. Così giovane, così napoletano, così tombeur e così carogna. Mi domandai come fosse possibile che i quotidiani italiani, spesso ammorbati da vignettisti mosci o spompati, non se lo contendessero a morsi e a gomitate. Ma poi pensai che, se se lo fossero conteso, non sarebbe stato così affamato, dunque così feroce. Scoprii poi che ogni giorno prendeva il treno da Napoli, saliva a Roma da noi, produceva tre o quattro vignette fra cui era difficile scegliere la migliore perchè erano tutte migliori, poi se ne tornava a Napoli, sempre in treno. La cosa andò avanti per un po’, finchè non l’abbiamo assunto. Ma per fortuna il posto fisso non l’ha cambiato, né tantomeno ammosciato. Ora è una colonna del Fatto Quotidiano[…]. Non è facile avere un’idea brillante al giorno (parlo per esperienza): lui ne ha sempre almeno due o tre, da buttar via. Tant’è che la sera, per prenderlo in giro, gli domandiamo dove le abbia copiate. Ma è evidente che non potrebbe copiarle: perchè sono idee originali, personalizzate, sue, “alla Natangelo”. La sua arte di manipolare le manipolatissime parole della politica italiana è unica. […] Di solito i vignettisti si dividono in due categorie: quelli che vanno forte nel disegno, meno nelle battute; e quelli che viceversa. Nat va forte in entrambe le materie. A volte, come i più grandi, non ha neppure bisogno di parole. […] Auguro a Natangelo di diventare, se possibile, ancora più carogna. E che a nessuno venga mai in mente di dirgli “fa’ il bravo”. Potrebbe guastarcelo.

Marco Travaglio

Nat […]  si misura con successo tutti i giorni con la vignetta quotidiana, e di tutta questa storia -dall’inizio all’approdo- il primo ad esserne il più stupefatto è proprio lui. A dispetto del suo sguardo perennemente sintonizzato sull’espressione “Oddio, cosa ci faccio qui io” Nat va invece avanti come un caterpillar.

Ellekappa