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Pedopornografia o censura? L’affaire Vives

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Vives al Salone del libro di Parigi nel 2010

(Questo articolo è stato pubblicato, in una versione più breve, da Il Fatto Quotidiano nell’edizione del 24 dicembre 2022.
Ho cercato di mettere in fila i fatti e le reazioni ai fatti, astenendomi dal prendere una posizione o esprimere un’idea in proposito)

Pedopornografia o censura? Un dibattito spacca il mondo del fumetto francese.
Tutto inizia con il festival di Angouleme, il più importante di Francia e quindi il più importante d’Europa, quando annuncia la mostra principale dell’edizione di gennaio 2023: una retrospettiva sul lavoro del fumettista Bastien Vives. Perchè le polemiche?

Partiamo dall’inizio. E’ il 2009 quando un autore di appena 24 anni riceve il ‘premio rivelazione’ al Festival di Angouleme con un libro intitolato ‘Il gusto del cloro’. L’autore si chiama Bastien Vives e il libro racconta di un innamoramento adolescenziale tra le corsie di una piscina. Il talento è debordante ed è subito chiaro che Bastien non è uno qualsiasi e che farà molta, molta strada. Dopo arrivano ‘Nei suoi occhi’ (2009) e infine ‘Polina’ (2011), in cui l’autore racconta di ragazze alle prese con la danza classica. Vives fa incetta di premi e passa definitivamente dall’essere una giovane promessa a grande talento. Ma dopo questo libro il ragazzo prodigio fa una virata.

E’ del 2011 ‘Meloni di rabbia’: fumetto erotico, protagonista un’adolescente con seno enorme che finisce nelle mani di uomini che approfittano sessualmente di lei. E’ poi la stessa protagonista a fare sesso col fratellino di otto anni, Paul: una volta scoperto che il bimbo ha un pene gigante non resiste a praticargli del sesso orale. Stupro, incesto e pedofilia: il pubblico si divide tra chi accusa Vives di pedopornografia e chi lo difende spiegando che sono opere fantastiche e grottesche. Di certo non aiuta a placare gli animi il fatto che il libro si chiuda con un saluto a tutti i ‘bedophiles’ (gioco di parole – intraducibile – tra ‘amanti del fumetto’ e ‘pedofili’). Nè aiutano le dichiarazioni dell’autore che parla del disegno come ‘sfogo’ per le sue ‘fantasie sessuali’. In un’intervista per il giornale Madmoizelle Vives dirà: “Le lettrici non hanno apprezzato il libro. Pensavo che l’incesto fosse una fantasia femminile ma di fatto pare che le ragazze non sognino di andare a letto con i fratelli o con il padre…. C’è qualche scena di stupro, potranno apprezzarlo perchè mi risulta che lo stupro sia una fantasia femminile”.

Un talento senza limiti
Nel 2017 arriva in libreria ‘Una sorella’: è la storia dell’amore tra due adolescenti, lei 16 anni, lui 13. Il titolo allude all’incesto (pur se nel volume non viene mai reso esplicito), la critica grida al miracolo: Bastien è ‘ammaliante’ e ‘sublime’. Da questo fumetto sarà tratto un film, Falcon Lake, presentato a Cannes nel maggio 2022 (non è una novità per Vives: anche Polina è diventato un film e dal suo fumetto Lastman è stata tratta una serie animata).

Nello stesso anno, un’ombra si allunga: il fumettista attacca via facebook una fumettista che si chiama Emma Clit, si dedica a tematiche di genere e ha appena dato alle stampe un fumetto sul carico mentale domestico (la suddivisione delle faccende domestiche in seno ad un contesto di coppia uomo-donna). Bastien si scaglia contro l’autrice definendola ‘cogliona ritardata’ che ‘inspiegabilmente’ ha deciso di comunicare un messaggio del ‘livello mentale di due anni’ e di farlo con un fumetto ‘pur non sapendo disegnare’. E rincara – nei commenti – scrivendo che gli piacerebbe che uno dei suoi figli la pugnalasse e poi facesse un fumetto per raccontare come lui l’abbia pugnalata. Emma prova a difendersi ma rimane sostanzialemente inascoltata: Vives è già un gigante, dopotutto, corteggiato da editori, festival e media.

Nel 2018 arrivano tre nuovi libri: ‘La camicetta’, ‘Lo scarico mentale’ e infine ‘Petit Paul’ che inaugura per l’editore Glenat la collana Porn’pop. ‘La camicetta’ è la storia di un’adolescente ‘piuttosto insignificante’ che grazie a una camicetta scopre il modo nuovo in cui gli uomini la guardano. ‘Lo scarico mentale’ è una risposta beffarda (un trollaggio, diciamo) al libro di Emma Clit: una famiglia in cui le quattro donne di casa, madre e tre figlie di differente età (10, 15 e 18 anni) trovano piena realizzazione nel compiacere – anche sessualmente – gli uomini di casa. ‘Pornocommedia’, come l’ha definita Comicon Edizioni stampandola in italia, con scene esplicite d’incesto. Compresa l’eiaculazione sul volto della bimba di 10 anni.
Ma sarà il terzo libro della tripletta, ‘Petit Paul’, a scatenare il vero casino.
E’ un seguito di ‘Meloni di rabbia’ ed è ancora inedito in Italia. Il protagonista è Paul, bimbo dotato di un pene di 80 cm (la misura di una baguette, per intenderci) che, grazie a questa sua meraviglia, suscita irresistibili voglie nelle donne intorno a lui generando “situazioni comiche”. L’editore, riconoscendo la particolarità dell’opera, sottolinea come lo straordinario talento artistico di Vives gli permetta sostanzialmente tutto.

Contro Vives
Ma non tutti sono d’accordo. Parte del sistema culturale francese insorge considerando il volume una ‘normalizzazione’ se non una ‘promozione delle pedocriminalità’. Sui social molte autrici e autori attaccano Vives e la sua ‘erotizzazione dell’infanzia’. Viene lanciata una petizione online per chiedere il ritiro dell’opera per violazione delle disposizioni del codice penale in materia di pedocriminalità e per ottenere le scuse dell’editore. I magazzini Cultura e Gibert decidono di ritirare dai loro scaffali il libro ed è la prima volta per un fumetto in Francia, una terra avvezza alle provocazioni di Charlie Hebdo. L’editore Glenat difende Vives: “Quest’opera di finzione, per quanto oscena e provocatrice la si possa considerare, è solo una caricatura in cui il disegno, volutamente grottesco e sproporzionato, non lascia alcun dubbio sulla natura totalmente irreale del protagonista e del contesto in cui agisce”.
Il tema usato per chiederne il ritiro è che queste opere violano la legge ma, secondo la letteratura giuridica, gli articoli 227-23 e 227-24 del codice penale francese che condannano la “rappresentazione pornografica […] di un minore” non si applicano ai disegni e quindi al fumetto e la giurisprudenza sul tema è ancora troppo lacunosa per potere chiarire i contorni della faccenda. Questione interessante è la maggiore libertà che sembra riconosciuta al fumetto rispetto ad altre rappresentazioni artistiche. Prendendo ad esempio il film tratto da ‘Una sorella’: gli adolescenti sul grande schermo non vengono mai mostrati nudi e l’unica scena di sesso esplicito presente nel fumetto viene espunta dal film. Altro tema di chi ha attaccato Vives è che queste opere siano sostanzialmente un’incitazione alla pedofilia e sul punto le due fazioni, pro-Vives e contro-Vives, divaricano completamente: da un lato c’è chi teme che l’arte possa spingere a trasformare in azioni quelle che sono solo fantasie e dall’altra chi pensa che l’arte abbia un valore catartico e, anzi, depurativo demolendo un tabù.

Il dibattuto fa tornare a galla vecchie dichiarazioni come quella del 2005 in cui Vives afferma: “A volte mi sento attratto da bambine di 10 o 12 anni: allora mi dico, ‘Cazzo, sono un pedofilo’ ma in effetti non faccio niente e forse si tratta di pulsioni che chiunque potrebbe provare”. Oppure l’intervista del 2017 in cui il fumettista dice: “l’incesto mi eccita mortalmente: non quello della vita reale, ma quello di finzione […]Siccome io non ho sorelle maggiori e non posso praticare l’incesto nella vita reale, lo faccio nei disegni”.

Deprogrammatelo
E torniamo a oggi e al ‘caso Vives’: la mostra dedicata al più celebrato giovane autore francese dal più importante festival del fumetto europeo. Il 9 dicembre è stata lanciata una petizione online sul sito mesopinions.com da Arnaud Gallais, fondatore dell’associazione a difesa delle vittime di incesto ‘Prevenir e proteger’ e egli stesso vittima di doppio incesto: la richiesta era la ‘deprogrammazione’ (la definiscono così) della mostra per promozione della pedopornografia. Fausto Fasulo, condirettore artistico del Festival di Angouleme, in prima istanza ha reagito escludendo qualsiasi ipotesi di cancellazione: sarebbe “una sconfitta filosofica enorme”. Inoltre, sottolinea Fasulo, la mostra sarebbe stata di disegni originali e inediti quindi cancellarla sarebbe stata una censura preventiva e ingiustificabile. Benoit Mouchart, direttore editoriale di uno dei principali editori del fumettista, ha stigmatizzato “la confusione in atto tra ciò che fa un personaggio e ciò che pensa il suo autore”. La ministra della cultura Rima Abdul Malak, parlando con Le Parisien, ha detto di comprendere lo sdegno che le parole e i disegni di Vives hanno portato nell’opinione pubblica ma ha poi specificato che un autore tanto prolifico non può essere ridotto solo a queste opere.

La petizione contro la mostra, intanto, arriva a raccogliere più di centomila firme finchè il 12 dicembre viene diramato un comunicato stampa del festival di Angouleme: niente più retrospettiva di Vives, la deprogrammazione ha vinto. “Fatti nuovi” – recita il comunicato – hanno radicalmente cambiato le condizioni che li avevano convinti a programmare la mostra e ‘minacce violente’ rivolte all’autore hanno spinto l’organizzazione a cancellarla per ‘ragioni di sicurezza’. Ma il festival aggiunge anche che “Vives ha fatto vari commenti – negli anni – che a molte persone sono sembrati inappropriati: il festival non ne era a conoscenza. Sta all’autore, nelle forme che riterrà appropriate, darne spiegazione”. I promotori della campagna di ‘deprogrammazione’ festeggiano, ma a metà: il festival non ha preso le distanze dal lavoro di Vives. Però quel che conta – dicono – è che la mostra sia saltata. Anzi, sia stata deprogrammata.

Tout est pardonné?
E Vives? Il 15 dicembre pubblica un lungo post su instagram. E’ un post di scuse, più o meno. Un’abiura. Forse merito di qualche ufficio stampa che ha deciso di prendere sotto la sua ala il brillante talento e provare a salvarlo. Dalla folla inferocita o, forse, da sé stesso.

Condanno la pedofilia e la sua glorificazione e banalizzazione. Condanno la cultura dello stupro e della violenza contro le donne. Esprimo solidarietà alle vittime di incesto o ogni altro abuso sessuale. […] il mio lavoro è variegato, perlopiù verte sul sorgere dell’amore e del desiderio. I miei 4 libri definiti ‘pornografici’ sono venduti incellophanati e sono vietati ai minori di 18 anni […] La mia attività sui social è stata spesso infantile […] Mi pento sinceramente per alcuni commenti, specialmente quelli contro Emma alla quale voglio chiedere scusa. Sono stato gratuitamente violento, irrispettoso e meschino. Ho lasciato Facebook e twitter poco dopo. […] Oggi mi rendo conto che oltre al mio lavoro sono soprattutto le mie dichiarazioni ad aver creato problemi e quindi da oggi in poi userò la massima cautela quando mi esporrò in pubblico o sui media”.

Il post ha più di 2000 commenti. C’è mikhailo_miki che scrive: “Questo poveraccio è sostenuto da borghesi destrorsi conservatori e fascisti che si appellano allo spirito di ‘Charlie Hebdo’ per difendere l’indifendibile”. C’è baba_vau che scrive: “Coraggio, grazie per il tuo lavoro. Che ci sia chi non capisce che un’opera possa essere volutamente scomoda e complessa mi rattrista e mi preoccupa”. E poi c’è Thierry.segur che scrive:
“Personalmente, sarei andato ben volentieri a vedere questa mostra”.

 

 

Alcune reazioni

Qui ho pensato di raccogliere un po’ di reazione raccolte online. Inizio, com’era prevedibile, da Charlie Hebdo che ha preso le difese di Bastien con una vignetta di Riss, superstite della sparatoria del 2015 e attuale direttore del settimanale. La vignetta è piuttosto esplicita.

Il fumettista Manuele Fior (5000 km al secondo, Hypericon, Celestia), che ha gran dimistichezza col mercato e la sensibilità francese, ha pubblicato un post instagram a difesa di Vives: “credo che una società più giusta sia quella che difenda l’essere umano da sé stesso, dalle sue spinte antisociali o autodistruttive, dai demoni che agitano l’uomo da quando è stato capace di pensare il proprio pensiero […] il ributtante, l’osceno, l’atroce sono dentro di noi in misura variabile. Si manifestano nei sogni, nei pensieri non intenzionali, nell’espressione artistica. La tragedia greca raffigura l’osceno per ottenere la catarsi. L’incesto con la madre, l’uccisione del padre sono diventate figure simboliche di quello che è proibito dell’occidente. L’arte, come l’ho sempre intesa, è una forma di confronto con i propri demoni. […] chi commette un crimine lo fa per emulazione, perché ha fatto cattive letture? O piuttosto perché non le ha fatte? Aver letto Lolita rende un po’ pedofili? Aver visto Arancia meccanica rende un po’ stupratori? Aver guardato Beardsley o Schiele rende un po’ incestuosi? Come riusciremo a difenderci da qualcuno se non sapremo più difenderci da noi stessi?“.

Boulet, uno degli autori di riferimento del primo Zerocalcare, ha scritto su twitter, a proposito di un incontro organizzato dal festival di Angouleme che lo avrebbe visto protagonista con Vives: “penso che Vives abbia fatto dei discorsi spregevoli, si comporti da merda sui social e abbia fatto dei disegni vomitevoli. Ho detto all’organizzazione [del festival di Angouleme] che mi ha disgustato l’idea che lui sarebbe stato lì quella sera e che io sarei stato associato a lui” e “ho detto ai suoi compagni d’atelier di consigliargli di non presentarsi“.

Boris Battaglia, autore, editore e traduttore, ha scritto sulla rivista “Quasi” una riflessione interessante dal titolo “il cloro negli occhi” (riporto solo la conclusione, qui c’è tutto): “Che le lettrici e i lettori, sentendosi traditi da un autore la cui opera e la cui realtà ideologica non avevano capito (una bella percentuale di lettori di fumetti non sa vedere ciò che sta guardando, forse perché come quando si nuota in piscina senza occhialini, tiene gli occhi chiusi per non farseli bruciare), si comportino in modo fascista, accusandolo di cose quali l’istigazione alla pedofilia (con rassegnazione dei sociologi d’accatto, abbiamo visto, che non c’è prova alcuna che il racconto, anche delle peggiori nefandezze, causi emulazione) e chiedendo il ritiro delle sue opere e l’annullamento di una sua mostra, personalmente lo trovo anche comprensibile. Che i media e le istituzioni cavalchino questa onda d’indignazione o le si pieghino, amplificandola senza riflettere e adducendo scuse come quella dell’incolumità dell’autore per cancellare mostre già programmate, è una cosa cui faccio sempre fatica a credere”.

Il critico Paolo interdonato ha scritto (anche qui riporto solo le conclusioni, il pezzo completo è qui): “Non si processano le nevrosi, le pulsioni, le ossessioni, le paure e i desideri. Non si processano le intenzioni. Non si processano le rappresentazioni delle intenzioni. Però possono farci schifo. E pure quella la chiamiamo ‘arte’.

Il giornalista Riccardo corbó su Facebook ha scritto una lunga riflessione (riporto solo un pezzo, qui c’è il testo completo) :” La questione non è la realizzazione di un fumetto puramente pornografico, ma il pubblico di riferimento. Che se non ti sei reso conto che ti comprava anche il pubblico di Polina, c’è un problema di inconsapevolezza non lieve. Che se hai voluto invece compire un gesto artistico con lo scopo di sconquassare quel pubblico, destabilizzarlo, frantumare la morale perbenista moralista borghese, è perfetto come gesto, ma chiaramente un numero cospicuo di lettori che viene destabilizzato, sconquassato, frantumato, poi è facile che reagisca con pari impeto contro di te, perché appunto non voleva essere così sconquassato“.

Di |2023-01-02T14:54:24+01:0027 Dicembre 2022|Categorie: recensione|Tag: , , , , |20 Commenti

La censura social spiegata a mio padre

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la vignetta incriminata

Da Il Fatto Quotidiano di lunedì 13 Marzo

Caro papà, provo a raccontarti una storia un po’ difficile da capire. E non perchè sei cretino, non più di me almeno, ma perchè è una storia che esiste solo nel mondo dei Social Network e di chi li usa: e tu sei uno dei tanti che non li usa. Devi anche capire che – caro papà – a usare facebook siamo circa un miliardo e trecento milioni di persone, ma fatti tranquillizzare: ti racconto la storia più vecchia del mondo e i protagonisti sono un partito politico e l’insofferenza allo sberleffo. In mezzo, la novità: i social network.

Tutto inizia il 28 gennaio. Matteo Renzi, segretario Pd, tiene un discorso a Rimini all’assemblea nazionale degli amministratori locali. Sono giorni drammatici: l’ennesimo sisma ha provocato una valanga che travolge l’hotel Rigopiano in abruzzo uccidendo 29 persone. Ma noi siamo tutti in attesa del  “discorso del rientro di Matteo Renzi”. Il nostro, dopo aver ricordato le vittime di Rigopiano, dice: “vorrei che dedicassimo la nostra assemblea a una delle vittime di Rigopiano, Jessica, una giovane democratica. Il padre mi ha detto ‘abbiamo persa una figlia che credeva al cambiamento di questo Paese’. Parole che mi hanno fatto venire i brividi”. Io sono cinico, papà, mi conosci. Non ho resistito e ho disegnato una vignetta in cui provo a mettere a nudo la retorica dell’ex premier che lamenta – con la morte della giovane democratica – la perdita di un voto: “certo, magari gli altri 28 morti votavano il m5s, ma chi può dirlo?”.

Sì, lo so papà: non ti piace questa vignetta, ma è satira, se ti piace vinco ma se non ti piace vinco di più. L’unico crimine sarebbe lasciarti indifferente.

Ed ecco Facebook: pubblico la vignetta online, sulla mia “pagina pubblica”. Che se Facebook fosse una città reale, la “pagina pubblica” sarebbe il mio bar in cui chiacchiero o discuto con chi entra e viene a vedere il mio lavoro e (nel mio caso) parliamo di circa ventimila persone.

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la lettera dei GD

E’ sabato sera, 28 gennaio. Adesso seguimi, papà: tre giorni dopo, il 31 gennaio, i giovani democratici – che è l’organizzazione giovanile del Pd – pubblicano su facebook una lettera aperta a me indirizzata: sono indignati per la mia vignetta e raccontano una storia in cui io sono il mostro e loro sono i buoni, e va benissimo. Sono giovani e renziani, quindi pratici nell’utilizzo dei social network. E come diresti tu, papà, la finezza è nel manico. La lettera è intestata a “NATANGELO (DISEGNATORE DEL FATTO QUOTIDIANO)”. Perchè è importante questa cosa?

Perchè additano il mostro: mi iscrivono all’area – secondo loro – “nemica” (Il Fatto Quotidiano, che niente c’entra con quella vignetta) e taggano la mia pagina pubblica. Cosa significa “taggare”? Che chiunque legge quella lettera, e lo scempio che io ho fatto del corpo della giovane democratica con la mia vignetta, potrà semplicemente cliccare sul mio nome e trovare così l’indirizzo del “bar” cui ogni giorno io e i miei lettori parliamo del mio lavoro. E potrà venire a prendermi a sassate le finestre, scrivermi insulti sui muri, cagarmi sul bancone. Tra i commenti, le minacce e gli insulti che mi arrivano per giorni mi piace ricordare Angelo Ruggeri, già segretario del partito democratico di Somma Lombardo, che commenta con un testuale “Il Fatto Quotidiano è una montagna di merda, forza gridatelo con me Il Fatto Quotidiano è una montagna di merda”. Ora, dirai tu: “e vabbè? che sarà mai?”.

Niente, figurati. Ma insultarmi non bastava, bisognava farmi chiudere il “bar”.

Facebook ha delle regole che vietano contenuti di nudo, contenuti che incitano all’odio e contenuti violenti. Cosa significa? Che nel mio bar non posso appendere una foto di Belen con le tette all’aria, dire che bisogna sparare ai Rom o organizzare un convegno su perchè sia giusto squartare i gattini. Se lo facessi, gli utenti potrebbero “segnalarmi” a facebook. Ed è come quando a scuola andavi dalla maestra a dire che tizio dice le parolacce. I vandali così indirizzati dai giovani democratici mi hanno segnalato massivamente alla maestra, cioè facebook. La cosa raffinata è che la vignetta su Renzi e Rigopiano non violava alcuna delle regole di facebook: non incitava all’odio razziale, non era omofoba, non era misogina nè violenta. Quindi sono andati alla ricerca di qualsiasi altra mia vignetta potesse “violare” le regole di facebook.

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una delle vignette segnalate

Sono un vignettista satirico, papà, anche se la cosa non ti piace e mi volevi avvocato divorzista che tanto lì non mi bannava nessuno e guadagnavo di più. A differenza dell’umorismo tout cour che magari ti fa le battute sul traffico di roma, la satira lavora su materiale incandescente (questioni politche, razziali, religiose, etiche). Voilà, vengo quindi segnalato per due vignette: una in cui sintetizzo la posizione arzigogolata della chiesa sulle unioni civili con un Papa Francesco che grida: “A FROCI”. E una vignetta in cui, dopo la vittoria di Trump, c’è un Obama che dice triste: “Quello che mi secca è che ora tornerò ad essere il solito negro”. Bam! “Negro” e “frocio” sono parole proibite su facebook: i sinceri democratici, probabilmente organizzati in gruppi, mi segnalano e vengo bannato. Cosa significa “bannato”, papà?

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una schermata di ban

Significa che la mia pagina è muta, il mio bar è aperto ma non posso servire i clienti, mi viene chiusa la bocca per un totale di undici giorni. Dirai tu, papà, “è solo facebook: puoi continuare a dire la tua su altri canali”. Hai ragione, ma mi comincia – come dicono a Roma – a rodere il culo. Quindi contatto lo staff di facebook al quale espongo nel dettaglio la vicenda.

Faccio loro notare che le stesse regole del social prevedono che “Sono consentiti messaggi umoristici, satirici o commenti relativi a questi argomenti”: quindi, caro Facebook – gli scrivo – se una vignetta chiaramente satirica la consideri una violazione delle tue regole come puoi poi farti bello dicendo di tutelare la satira?

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il passo indietro di facebook

Lo staff di Facebook (sì, papà, ci sono delle persone vere dietro Facebook) analizza il caso e mi manda tante scuse: i contenuti sono stati “erroneamente” rimossi da facebook, quelle vignette erano satira, il ban è stato revocato e il 14 febbraio – undici giorni dopo la lettera aperta dei Giovani democratici – posso di nuovo aprire il mio bar satirico sul social di Zuckerberg. Cos’è successo nel frattempo? Che l’onorevole Pini (Pd) ha scritto su Facebook che uno come me non merita le lacrime dei democratici. Che Sergio Staino, direttore de L’Unità, ha pubblicamente affermato che la mia vignetta era ottima e degna di essere pubblicata. Che l’avvocato della famiglia della ragazza morta nella tragedia di Rigopiano mi ha scritto (anche lui) una lettera aperta su facebook per condannare la mia vignetta (non) pubblicata su Il Fatto Quotidiano minacciando procedimenti giudiziari che poi si sono dissolti come le casette promesse ai terremotati. Che Barbara D’urso ha usato la mia vignetta per un processo televisivo a me e al mio giornale (che non ha mai pubblicato la vignetta in questione). Che un certo addetto alla comunicazione renziana abbia concluso – come riflessione critica su questo episodio di censura – che io faccio delle vignette solo per farmi odiare dalla “gente del Pd”. Ha forse ragione, papà? E’ come canta Calcutta? “Ho fatto una svastica in centro a Bologna ma era solo per litigare”.

Boh. Quello che so io è che continuo a fare il mio lavoro, e mi importa poco se si incazza il Pd o il M5s o la lega a tutela degli animali: basta che si incazzino. Ma ora papà, ok che non sai cos’è Facebook, però ti prego non chiedermi di spiegarti Calcutta. Questo sarebbe davvero troppo difficile.

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Calcutta

 

Di |2018-01-25T13:53:50+01:0015 Marzo 2017|Categorie: nat show, news|Tag: , , , , , , |2 Commenti
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