
Un diario a fumetti dall’inferno chiamato Gaza. Non dal punto di vista di chi l’inferno lo subisce, ma dalla matita di un militare israeliano. Vi vedo già storcere il naso: “Poverino, e cosa devono dire i palestinesi che massacra?”. Leggiamolo.
Emmanuel Najera, riservista classe 1996, non chiede empatia: vuole “curare” l’anima con il disegno ed è quello che fanno gli artisti. Decide così di autoprodurre Loop – diario illustrato dalla riserva (perché si chiama così lo capirete dopo).
Nato a Tel Aviv da genitori filippini impiegati nelle pulizie, per lui Israele è tutto: parla ebraico, si arruola, combatte. “Quando sei a Gaza e senti bombardamenti e sparatorie, sai che qualcuno sta combattendo. Quando non li senti, pensi che forse stia succedendo qualcosa sottoterra”: il suo diario a fumetti – presentato come tesi in una scuola di comunicazione visiva – non mostra eroi né vittorie.
Sono schizzi di un tempo sospeso: la noia, il trauma che lentamente entra sotto pelle, brandelli di conversazioni, gli amici che al ritorno a casa lo accolgono con un “Quanti ne hai fatti fuori?”. Questo fumetto è l’uomo dentro l’uniforme.
“Non sei più un eroe – dice della condizione al fronte, dopo due anni di massacri – sei solo un povero cristo bloccato in un loop infinito”. L’orrore di Gaza diventa segni neri su un taccuino: i bombardamenti dopo una settimana diventano rumore bianco, la voce persa per lo stress, arriva l’insonnia. Il diario non è neutrale, nessun diario lo è.
E non c’è genocidio, per Najera, ma sforzi per non colpire i civili. E il suo punto di vista, tutto israeliano. “Credo che la maggior parte della responsabilità di quello che succede ricada su Hamas – spiega al quotidiano Haaretz – Ha usato la popolazione in modo cinico, e una delle sue tattiche è diffamare Israele”. Restano sul campo 65.000 morti che non avranno mai voce. E i disegni di un ragazzo di 27 anni che ha perso la pace. Perché il fumetto può esorcizzare, ma non assolvere.